Mamma, c’è un modo per abbandonare gli studi?”
È una frase che ho letto recentemente in un post su Facebook. E’ facile leggere tante frasi simili sui social, scritte da genitori che condividono le avventure, o disavventure, scolastiche dei propri figli.

Ho sorriso leggendo quella domanda così specifica, pensando all’importanza della risposta che andrebbe data.

Non è una banale domanda di un bambino lamentoso o un piagnisteo infantile per non voler andare a scuola. È una domanda profonda che richiede un’attenta risposta, precisa e chiara, che indirizzi lo sguardo del bambino verso il futuro, verso il suo divenire Persona.

Nella testa si affollano risposte che spesso ho sentito dare: “Anche a me non va di andare a lavoro, però ci vado perché devo!”, “Il tuo dovere è andare a scuola!”, “Ognuno nella vita fa cose che non gli piacciono, ma le deve fare!” e via discorrendo.

Sono frasi figlie del “prima il dovere e poi il piacere”. Un linguaggio strettamente legato alla logica del senso del dovere, a cui tutti siamo abituati, che tutti riconosciamo e al quale attribuiamo spesso un valore positivo.

Se si prova a tornare indietro con la memoria, cercando di percepire quello stato interiore che si viveva da bambini, e ci si immagini di porre la fatidica domanda “Perché devo andare a scuola?”, una risposta come “Perché è il tuo dovere!” piomba come un macigno sul nostro cuore. Rassegnazione, vuoto, pesantezza, fatica, sono le sensazioni e i sentimenti che possono sorgere. Quello stesso peso che il senso del dovere genera anche in noi adulti, soprattutto quando l’azione è scollegata da una spinta volitiva interiore, quando non è indirizzata alla realizzazione di sé o verso un fine più alto.

Quando mi è capitato di parlarne con i bambini e i ragazzi incontrati nel mio percorso nel mondo dell’educazione, le parole chiave delle loro riflessioni sono sempre state le stesse: imparare, leggere, scrivere, contare, conoscere, conoscersi, divertirsi, novità e vita.

Nel loro modo, semplice e diretto, ne colgono l’essenza. Andare a scuola non può essere vissuto come un obbligo, seppur “scuola dell’obbligo” è il nome che le viene dato. I bambini devono poter vivere la scuola come una grande fucina di idee, un luogo dove si formano le future generazioni che di anno in anno crescono, imparando a conoscere il mondo e se stessi. È qui che possono acquisire abilità nel fare, capacità di dar voce ai propri sentimenti, conoscenze e competenze che tendono verticalmente verso le alte sfere del sapere.

Una scuola che adempie al suo ruolo è quella che suscita nel bambino il desiderio di essere frequentata, nel senso recondito del termine de-sideràre che ha a che vedere con il sentirne la mancanza.

Come genitori, educatori ed insegnanti, siamo chiamati a preparare un fertile terreno affinché alla domanda “Perché devo andare a scuola?” il bambino contrapponga l’affermazione “Voglio andare a scuola!”.

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