Siamo nelle campagne dell’Agro Romano, cento anni fa circa, terra di palude e malaria, vita da braccianti e precarietà. Come ancora oggi accade, l’analfabetismo alimentava pregiudizi e diffidenza, condizione che può essere trasformata solo attraverso una coraggiosa azione educativa. Così, nel 1904, un gruppo di medici, educatori e artisti decidono di intervenire per promuovere riscatto sociale e umano in queste terre dimenticate.

Il medico Angelo Celli, sua moglie Anna Fraentzel, l’intellettuale Giovanni Cena, l’artista Duilio Cambellotti e l’educatore Alessandro Marcucci danno vita alle Scuole Rurali.

Ho praticato la campagna romana come artista e come gregario di una nobile opera di redenzione, capitanata da gente illustre per valore e pietà. Per questo ho potuto valutare la realtà nel bello, nel bene, ma anche nel male che era molto.[1]

Con queste parole Duilio Cambellotti ricorda la loro straordinaria esperienza, spinta da una profonda fede nell’autonomia e nell’indipendenza, dall’amore per la natura e per la scoperta di luoghi sconosciuti e solitari.

Del resto la loro azione non è isolata, sono anni di grande fermento pedagogico in tutta Europa; dominano i principi dell’estetica e dell’arte da mettere al servizio di un’azione di sensibilizzazione al bello, come strumento di elevazione spirituale. Coniugare l’osservazione della natura con la ricerca di spunti evocativi capaci di rafforzare la consapevolezza di sé, il riconoscimento dei propri diritti e la partecipazione alla vita civile. Restituire il bello a chi ne è escluso, per elevarlo al buono e al giusto.

I pionieri dell’Agro Romano partecipano nel 1911, come Comitato delle Scuole per i Contadini, all’esposizione allestita a Roma, sulla scia del primo Congresso Artistico Internazionale, dall’Associazione Nazionale per gli Studi Pedagogici, perché tutti conoscessero la rivoluzione in atto. Solo mostrandosi al mondo è possibile essere ri-conosciuti per rendere vero e condivisibile il proprio sogno.
Da quel momento il gruppo raccoglie consensi e aiuti economici che permettono di ampliare gli spazi della scuola e rafforzare gli interventi didattici. Viene introdotto il disegno, la decorazione della pagina scritta e del libro, la cura estetica dell’arredo e delle suppellettili didattiche. I figli dei contadini usano i pastelli, sconosciuti per molti anche nelle scuole di città, imparano a conoscere i colori, osservano, apprendono e riproducono le forme del mondo intorno a sé, avvalendosi di libri didattici stampati appositamente dai maestri.
È in atto un’opera di profonda trasformazione che guarda all’igiene dello spirito e del corpo, con insegnamenti artistici, l’esercizio dell’osservazione, la percezione della misura e dell’armonia delle cose.

Questo gruppo di temerari, che ha saputo guardare oltre la palude e il degrado, ha condotto una battaglia contro l’analfabetismo, i pregiudizi e la schiavitù che impedisce alle genti la propria elevazione interiore.

Grazie al loro coraggio questo viaggio continua ancora oggi, cento anni dopo, e le Scuole all’Aperto, illuminate dagli stessi valori di libertà ed emancipazione, continuano a tracciarne il sentiero.

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SUGGERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Alatri G., Duilio Cambellotti – un contributo artistico al processo educativo, in “I problemi della Pedagogia”, n. 4 – 5, 1991.
Alatri G., Una vita per educare, tra arte e socialità – Alessandro Marcucci (1876 – 1968), Unicopli, Milano, 2006.

NOTE
[1] Cambellotti D., Teatro Storia Arte, a cura di M. Quesada, Edizioni Novecento, Palermo, 1982, p. 36.

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