Una domanda che spesso mi fanno quando sono in giro per l’Italia a raccontare le esperienze delle scuole all’aperto è quella se c’è abbastanza controllo da parte degli adulti, se i bambini sono al sicuro. Ovviamente rispondo che anche noi vogliamo che i bambini stiano se cursus – senza preoccupazioni e ci teniamo allo loro incolumità. Il dubbio però mi è sempre sorto se la parola giusta per raggiungere questo obiettivo fosse controllo: dal francese contrôle, registro, quindi registro tenuto in doppia copia. L’immagine dei maestri con il registro in mano fa parte dell’immaginario collettivo impresso nel nostro dna di ex alunni e capisco che abbia anche le sue valenze pratiche, ma per educare in Natura in modo naturale io credo che sia molto più importante vegliare che controllare. Essere vigile, sveglio, presente è questo il miglior antidoto agli incidenti e agli imprevisti. Per dirla con le parole di Pierre Hadot: la presenza è l’unica dea che adoro. L’occhio di colui che controlla è impregnato di paura e tensione, la sua attenzione è più protesa alla verifica che alla partecipazione attiva di ciò che sta accadendo. L’educatore è colui che è il custode del gioco dei bambini, colei che osservando modifica lo spazio, accarezzando o riprendendo i bambini con la forza dell’invisibile che scaturisce dalla relazione, le genesi dell’azione pedagogica. Mi rendo conto che per rinunciare al controllo ci vuole fiducia, e di fede oggi c’è n’è davvero poca. Quelle che erano le virtù teologali, le virtù che riguardano Dio: fede, speranza e carità sono quelle che sento più lontane dall’uomo contemporaneo. Lungi da me di consigliare un ritorno ad un passato di natura confessionale ma mi rimane la certezza che un bambino ha necessariamente bisogno di un ambiente intriso di queste virtù. Vivere più a contatto con la Natura aiuta le persone ad essere più libere dai condizionamenti delle pauure e ispira uno stare insieme più intimo, aperto e solidale.
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