“Diciamoci la verità come andrà a finire quest’anno?”, “Mi bocciano”. Le parole di M mi hanno fatto tanta tristezza, come tutti gli anni sta arrivando per lui e per milioni di studenti la resa dei conti. Respinto, bocciato, rimandato sono parole che ricorrono nei discordi di molti ragazzi. M non ha studiato, quest’anno aveva deciso di passarlo a divertirsi con gli amici, potremmo quindi dire tranquillamente che se l’è cercata ed è lui stesso ad ammettere che la bocciatura è giusta.
Le difficoltà più grandi M le ha trovate in Italiano e quando ho visto i suoi compiti in classe, i voti parlavano chiaro: 2,8; 2,4; 4,2 ecc ma quello che mi ha colpito di più è stato il tratto con cui quei voti erano stati “scolpiti” sul foglio, senza commento, senza indicazioni, in parole semplici senza traccia di alcuna pietà e umanità. M ha passato una grande parte dell’anno a combattere con questo professore, sostenuto dai genitori, dai compagni, dall’intero ambiente che conosce perfettamente la severità che trascende nella “cattiveria” di questo professore.
M, come tutti però, non aveva nessuna possibilità di detronizzare il prof e quando ha smesso di sperare di essere promosso la voglia di rivalsa e vendetta di M si è amplificata e si è estesa alla quasi totalità dei professori. Quest’odio ha indurito il suo cuore ed ora è incastrato in un meccanismo dove fa fatica ad uscire. M ha fame di vita, M vuole lavorare, M vuole conoscere e come lui ci sono tanti adolescenti che non riescono a pagare le bollette ma che vorrebbero Lavorare. Il loro lavoro sarebbe quello di imparare, di domandare, di creare, di costruire, di sbagliare, di opporsi, di contrastarci, di relazionarsi con degli adulti che non mollano, con adulti che si sentono partecipi, che sentano come propri i fallimenti e i successi degli studenti.
Il darwinismo sociale ci dice che chi ce la fa se lo merita e chi non riesce qualcosa di male avrà fatto e se fallisce è colpa sua. Chi non regge i ritmi dello studio ha un problema che studenti e genitori devono risolvere, chi non ce la fa va fuori. L’espressione che gli studenti devono “pagare le bollette” l’ho sentita dire la prima volta da un preside di una scuola privata d’elite a Roma, geniale, un’immagine che calza perfettamente a moltissimi studenti!
Devono arrivare al 6 e se non lo fanno gli staccano il servizio, arriva la Gerit sotto forma di colloqui con i genitori, di pagelle, di quadri, di bocciature. Equitalia manda prima avvisi e poi sequestra, la scuola agisce in maniera simile, ovviamente questo vale solo per i più deboli. Così come tante, troppe famiglie non arrivano a fine mese, tanti troppi ragazzi non arrivano a fine anno. Siamo il paese in Europa con il maggior numero di ragazzi che non studiano e non lavorano.
Abbiamo un piccolo esercito di esseri umani che hanno rinunciato e le ricadute sociali sono e saranno enormi. Troppi professori agiscono come gli ufficiali giudiziari, portando via la gioia, la speranza, il futuro. Allo stesso tempo molti, troppi genitori diventano avvocati e fanno ricorso. Si immedesimano nel dolore dei figli e oscillano tra il diventarne complici e aggiungersi come carnefici.
Abbiamo bisogno di fermarci e riflettere sul senso di ciò che stiamo facendo. Abbiamo bisogno di ammettere che abbiamo fallito. La realtà ci parla e noi facciamo finta di ignorarla. “La mia vita è piena di niente” dice M, siamo sicuri che valga solo per lui? Non mi meraviglia che questo vuoto venga riempito da esperienze sensoriali di qualunque tipo, non mi stupisce che diventi difficile uscire dagli atteggiamenti “coatti” e di “cazzareggio”. Il vuoto è una prigione da cui bisogna evadere altrimenti si soffoca.
M ha bisogno di sentire il dolore, ha bisogno di trovare un significato a quest’esperienza che comunque vada lascerà un segno forte nella sua vita. Affinché quel dolore possa essere fecondo ha bisogno che gli faccia venire fame di Vita.
Oggi M perde una quantità di tempo inimmaginabile per sfuggire a quel vuoto che la scuola ha contribuito fortemente a creare per la quasi totale mancanza di stimoli, di relazione, di sperimentazione, di aderenza al mondo reale. Io lo ascolto e mi rendo conto che la sua esperienza è stata ed è anche la mia.
Abbiamo il dovere di ascoltare il dolore che i giovani stanno lanciando al mondo. Abbiamo il dovere di cambiare rotta, di puntare la nostra vela verso la relazione, verso la ricerca del Talento che giace sepolto in ognuno, verso una pedagogia che ci faccia vivere esperienze e che non ci trasmetta solo concetti e nozioni.
Abbiamo bisogno di creare un prototipo di scuola pubblica non statale, che sia inserita nella comunità, che diventi un centro pulsante di creatività e speranza. Ne ha bisogno M, ne abbiamo bisogno tutti.