La scuola statale alle sue origini bloccò la società con la divisione in classi: una dominante, formata attraverso studi classici e intellettuali e un’altra lavoratrice il più possibile tagliata fuori dal mondo della cultura.
Una scuola che alla sua base favorisce in maniera strutturale una società ancora divisa in classi viene meno all’idea che è lecito imparare da tutti, dove quindi l’educazione è un processo orizzontale che si basa su una grande libertà originaria. Quello che abbiamo perpetuato è una divisione tra testa e resto del orpo, piuttosto che un’integrità iniziale appartenente ad ogni individuo, composta sia del sapere che del saper fare. Un modello di conoscenza che si sviluppa su binari separati, destinata a formare persone con un’impronta pratica, ma prive di una più ampia visione d’insieme oppure persone con un grande sviluppo intellettuale e teorico, slegato però da una sua effettiva utilità nel mondo pratico, reale.
Papa Leone XIII (1810-1903): «La libertà d’insegnamento è al tutto contraria alla ragione e nata per pervertire totalmente le intelligenze».
Gaetano Filangieri (1753-1788) padre ispiratore della scuola risorgimentale: «Per formare un uomo io preferisco la domestica educazione, per formare un popolo, io preferisco la pubblica»
Giovanni Gentile (1855-1944): «Gli studi secondari sono di loro natura aristocratici … studi di pochi, dei migliori, ton ariston, che preparano agli studi disinteressati, scientifici; i quali non possono spettare se non a quei pochi, cui l’ingegno destina di fatto, o il censo e l’affetto delle famiglie pretendono di destinare, al culto dei più alti ideali umani»
«L’uomo che lavora è sempre in un certo modo il servo della plebe»
Per decenni questa separazione ha dilaniato il paese separando la testa dalle braccia, credendo erroneamente nel predominio della prima. L’eccessivo intellettualismo, la mancanza di lavoro manuale, l’arte studiata ma mai sperimentata direttamente hanno formato una classe dirigente scollegata dalla realtà pratica della vita e con poca creatività. Uomini che si credevano i più intelligenti del mondo che hanno dilaniato la società a livello culturale, economico e politico.
Le scuole tecniche per anni hanno formato ottimi operai specializzati ma adesso di operai non se ne percepisce più il bisogno e nel nome della repubblica si sono eliminati gli istituti d’arte, diminuite le ore ai laboratori e le materie di indirizzo negli istituti tecnici.
La struttura educativa è stata asservita ed utilizzata come premessa di un ben preciso tipo di società che segue forme date, cristallizzate e quindi refrattarie al cambiamento. L’educazione invece dovrebbe essere fucina di nuove idee e fautrice dell’innovazione. Invece che formare individui liberi si sono formati individui “adatti” ad inserirsi nel mondo già esistente. In questo caso la sovranità è stata vista unicamente nell’ottica della generazione che “precede”, che ne detiene il potere ed è propensa a ricreare modelli simili a se stessa, senza quell’equilibrio che permette di affiancare alla trasmissione di una tradizione gli strumenti per favorire una nuova e sana innovazione nella generazione che “segue”.
È con questa precisa eredità che noi entriamo in relazione con il mondo.
Ritorno al presente: cosa rimane del sistema educativo?
Arrivando da questo viaggio nel passato ad oggi forse la situazione è ancora più tragica: l’educazione non è più semplicemente al servizio di una struttura societaria statica, bensì funzionale a macro cicli economici il cui controllo non è più neanche nelle mani dello Stato, ma degli interessi di coloro che muovono il grosso delle economie globali. Il messaggio esterno condizionante punta a creare un’unica classe di consumatori ubbidienti, senza speranza, con poche competenze che dilapidi il patrimonio dei genitori il prima possibile.
Come è stato messo in pratica tutto ciò?
Per farlo la mortificazione della scuola statale e la mercificazione di quella privata sono un’ottima strategia di distruzione di massa. La mancanza d’innovazione nel sistema educativo lo rende obsoleto, in grossa parte inadatto a formare individui pronti a fronteggiare le richieste (fosse anche per la semplice sopravvivenza) del mondo contemporaneo.
Questo porta ad una perdita di fiducia da parte degli studenti, che percepiscono come farsa questo sistema che li obbliga ad andare a scuola ma non li aiuta realmente né a sviluppare le proprie capacità né a offrirgli un semplice posto di lavoro. Allo stesso tempo gli insegnanti, che a loro volta si trovano vincolati ad un sistema inefficace, burocratico, non meritocratico e quindi frustrante, sono privi dei giusti strumenti per portare avanti il loro compito.
Lo scenario così dipinto altro non potrebbe sembrare che catastrofico, ma in realtà ci avvicina al momento in cui acquisire la sovranità educativa, con le responsabilità che essa comporta, diviene per gioco-forza la scelta più prossima. Ci troviamo nella condizione in cui il modello propostoci non sta fallendo in maniera parziale (dove per esempio non viene garantita la piena libertà, ma quantomeno la sopravvivenza), ma sta venendo meno al suo impegno nella quasi totalità. Acquisire la sovranità educativa significa iniziare a riappropriarci di quegli strumenti che possano permetterci, nella concretezza, di affrontare la situazione attuale.
Attraverso una presa di coscienza dei singoli IO che si riconoscono in un NOI, che utilizzano le proprie energie per iniziative propositive (se ancora piccole nel numero, grandi a livello paradigmatico), potremo portare un po’ di pace nelle scuole che ora sono in uno scenario di guerra. Creare quelle sperimentali possibilità di scelta che possano permettere a nuove soluzioni di affermarsi, portando via via ad una naturale discriminazione di quanto ormai inutile e superato. L’Asilo nel Bosco prima, la scuola del Mare e del bosco adesso, i maestri di strada, i movimenti di rinnovamento educativo sono la speranza concreta che un cambiamento è possibile, il nuovo paradigma è già cominiciato.
Danilo Casertano