Appunti di un maestro corsaro/50

30 Settembre 2019
“Mamma, c’è un modo per abbandonare gli studi?”
È una frase che ho letto qualche giorno fa in un post su facebook. In queste prime settimane di scuola se ne leggono tante di frasi simili sui social, scritte da genitori che condividono le avventure, o disavventure, scolastiche dei propri figli.
Ho sorriso leggendo quella domanda così specifica, pensando all’importanza della risposta che andrebbe data.
Non è una banale domanda di un bambino lamentoso o un piagnisteo infantile per non voler andare a scuola. È una domanda profonda che richiede un’attenta risposta, precisa e chiara, che indirizzi lo sguardo del bambino verso il futuro, verso il suo divenire Uomo.
Nella testa si affollano risposte che spesso ho sentito dare: “Anche a me non va di andare a lavoro, però ci vado perché devo!”, “Il tuo dovere è andare a scuola!”, “Ognuno nella vita fa cose che non gli piacciono, ma le deve fare!” e via discorrendo.
Sono frasi figlie del “prima il dovere e poi il piacere”. Un linguaggio strettamente legato alla logica del senso del dovere, a cui tutti siamo abituati, che tutti riconosciamo e al quale attribuiamo spesso un valore positivo.
Se si prova a tornare indietro con la memoria, cercando di percepire quello stato interiore che si viveva da bambini, e ci si immagini di porre la fatidica domanda “Perché devo andare a scuola?”, una risposta come “Perché è il tuo dovere!” piomba come un macigno sul nostro cuore. Rassegnazione, vuoto, pesantezza, fatica, sono le sensazioni e i sentimenti che possono sorgere. Quello stesso peso che il senso del dovere genera anche in noi adulti, soprattutto quando l’azione è scollegata da una spinta volitiva interiore, quando non è indirizzata alla realizzazione di sé o verso un fine più alto.
Ritornando alla nostra fatidica domanda, ne abbiamo parlato in classe con i bambini della Scuola del mare e del bosco, con i piccoli studenti che frequentano la prima, la seconda e la quinta elementare. Le loro risposte, che ovviamente differivano a seconda delle età, sono state di grande ispirazione.
Imparare, leggere, scrivere, contare, conoscere, conoscersi, divertirsi, novità e vita sono state alcune parole chiave delle loro riflessioni.
Nel loro modo, semplice e diretto, ne hanno pienamente colto l’essenza. Andare a scuola non può essere vissuto come un obbligo, seppur “scuola dell’obbligo” è il nome che le viene dato. I bambini devono poter vivere la scuola come una grande fucina di idee, un luogo dove si formano le future generazioni che di anno in anno crescono, imparando a conoscere il mondo e se stessi. È qui che possono acquisire abilità nel fare, capacità di dar voce ai propri sentimenti, conoscenze e competenze che tendono verticalmente verso le alte sfere del sapere.
Una scuola che adempie al suo ruolo è quella che suscita nel bambino il desiderio di essere frequentata, nel senso recondito del termine de-sideràre che ha a che vedere con il sentirne la mancanza.
Come genitori, educatori ed insegnanti, siamo chiamati a preparare un fertile terreno affinché alla domanda “Perché devo andare a scuola?” il bambino contrapponga l’affermazione “Voglio andare a scuola!”.