I bambini sono più competenti di quello che pensiamo, anche in merito alla tenerezza.
La tenerezza è una qualità che vive in loro, ne ho avuta la riprova qualche giorno fa.
Quando siamo entrati in classe e ci siamo seduti in cerchio sul tappeto non immaginavo che stavamo per assistere a una lezione di tenerezza. È successo una mattina in cui mancava maestra Eleonora, la maestra che segue i bimbi di prima nel nostro gruppo pluriclasse di prima/seconda.
Come ogni mattina stavamo per andare avanti con una nuova avventura de Il libro della giungla, nel seguire le storie di Mowgli, il bambino cresciuto fra i lupi.
Ad un certo punto alzo gli occhi e vedo F. che sta piangendo. So che è molto legato alla maestra Eleonora e so anche che questa esperienza dell’ascoltare storie ancora non gli piace molto, avrà forse ancora bisogno di un po’ di tempo per apprezzarla.
Fermo la lettura e, in questo mondo spesso saturo di interventi e interventismo, scelgo di seguire la mia sensazione interiore e non fare nulla, se non osservare la situazione.
Decido di non intervenire in maniera diretta e allo stesso tempo invito i compagni a cercare di scoprire cosa c’è che sta turbando il loro piccolo amico.
Non sono voluta intervenire, perché a volte va bene rispettare i momenti che arrivano senza forzare una confidenza che ancora non c’è. Ho scelto di non intervenire perché questo significa anche:
“Ho fiducia nelle tue capacità, nella tua possibilità di affrontare questo piccolo momento difficile.”
Invece che da parte della maestra, il conforto può arrivare dal gruppo dei pari, per scoprire che anche questi sono una risorsa e che con il loro aiuto la mattina è uno scoglio che si può affrontare, anche se ci coglie un velo di tristezza.
Accogliere. Questa è stata la scelta principale. Accogliere questa tristezza, senza ne esaltarla, né cercare di cancellarla, eliminando il piccolo inconveniente. Accoglierla in modo che potesse emergere tutta, invece che venir soffocata e ricacciata indietro per andare ad accumularsi chissà dove. Accoglierla dando tutto il tempo necessario, senza mettere fretta.
“Non si deve piangere” è a mio avviso una frase sbagliata da dire ai bambini.
Il miracolo più bello è arrivato da loro, dalle loro attenzioni e domande. In modo particolare è arrivato dal bambino da cui meno ce lo si sarebbe aspettato, il bimbo dalla natura più solitaria che a volte se ne sta in disparte immerso nei suoi pensieri.
L. si è seduto accanto a F. e gli ha messo un braccio attorno alle spalle, cingendolo con una tenerezza infinita, mentre con l’altra mano faceva delle carezze leggere sulla sua testa e con la voce gli diceva piccole parole dolci, per consolarlo. Sono rimasti così, forse per dieci minuti, mentre tutti noi attorno nel cerchio davamo importanza a questo momento, sostenendolo con la nostra presenza.
A proposito di tenerezza, non dobbiamo dimenticarci del grande potere racchiuso in un abbraccio.
Ad un certo punto spunta, si allarga, coinvolge tutto il viso: un sorriso.
“Bene” penso fra me “la tempesta è passata”.
Aspetto qualche altro attimo poi chiedo:
“F. sei pronto per proseguire?”
“Si maestra, sono pronto.”
La tristezza è passata, è tornato il sereno e assieme andiamo a dare avvio alle attività della giornata, consapevoli di aver vissuto un momento prezioso.
Ebbene sì, i bambini sono competenti, se gli lasciamo occasione di esserlo.